FECONDAZIONE ASSISTITA E DIAGNOSI PRE IMPIANTO, UNA SICUREZZA IN PIU’ CONTRO PATOLOGIE GENETICHE E EREDITARIE
La genetica viene in nostro aiuto, infatti ormai da diversi anni è possibile eseguire test in fasi molto precoci dello sviluppo di un embrione, prima che esso sia trasferito nell’utero, per identificare la presenza di potenziali patologie genetiche o anomalie cromosomiche; questa tecnica viene identificata con la sigla PGT – preimplantation genetic testing (Test genetico preimpianto).
Per effettuare la PGT è necessario effettuare il prelievo di un piccolo campione di materiale genetico (biopsia) dall’embrione, normalmente allo stadio di blastocisti. E’ possibile prelevare alcune cellule del trofectoderma (lo strato di cellule più esterne che darà origine alla placenta in caso di gravidanza), oppure aspirare il fluido del blastocele (un fluido naturalmente contenuto nella cavità interna alla blastocisti).
Attualmente, le tecniche di biopsia sono talmente sofisticate che non danneggiano in alcun modo l’embrione, il quale mantiene inalterate le sue potenzialità di impianto in utero. Di conseguenza, grazie a tali test diagnostici, gli embrioni saranno valutati da un punto di vista non solo morfologico, ma anche cromosomico e/o genetico distinguendo con un elevato gradi di accuratezza gli embrioni euploidi (normali) da quelli aneuploidi (alterati) e ottenendo una diagnosi fondamentale che permette di evitare aborti, complicazioni in gravidanza e la nascita di bambini con gravi patologie.
L’acronimo PGT-A identifica il test volto a identificare le aneuploide (anomalie del numero dei cromosomi) tra cui, ad esempio, la trisomia 21, nota come sindrome di Down.
L’acronimo PGT-M identifica il test volto a identificare la presenza di una specifica patologia genetica qualora gli aspiranti genitori siano affetti o portatori. Alcune delle patologie identificabili con questo test sono la fibrosi cistica, la beta talassemia, la malattia di Huntington, sindrome di Marfan….
Esistono, poi, situazioni ibride in cui l’embrione ha linee cellulari in parte con assetto cromosomico corretto e in parte alterato, in questo caso si parla di embrioni mosaico (fino al 40% delle blastocisti possono essere interessate da questo fenomeno). Recenti studi hanno dimostrato come in assenza di embrioni euploidi (normali), è possibile valutare il transfer, se presente, di un embrione con anueploidie “a mosaico” in quanto sebbene mostrino una percentuale di impianto inferiore, allo stesso tempo, tale percentuale risulta superiore rispetto a quando vengono trasferiti embrioni non analizzati.
Per spiegare questo fenomeno è stato ipotizzato che, durante lo sviluppo dei mosaici, si attivino meccanismi di auto-correzione capaci di convertire tutte le cellule aneuploidi in euploidi. Inoltre, nelle settimane successive, sarà possibile effettuare ulteriori indagini tramite villocentesi e/o amniocentesi. Il potenziale trasferimento di embrioni mosaico deve essere attentamente valutato con lo specialista in Medicina della Riproduzione e con il Genetista, che potranno fornire tutte le informazioni, le avvertenze e i chiarimenti necessari per permettere alla coppia una scelta consapevole.
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